ΓΙΑ ΟΣΟΥΣ ΑΓΑΠΟΥΝ ΦΑΝΑΤΙΚΑ ΤΟ ΤΑΝΓΚΟ ΚΑΙ ΤΟ ΠΟΔΟΣΦΑΙΡΟ

Para todos aquellos fánaticos del tango y del fútbol acá les dejo un compilado de tangos que hacen referencia a estas dos pasiones populares. Que lo disfruten !!!

Πέμπτη 31 Μαΐου 2012

LARGUE A ESA MUJICA



ΤΡΑΓΟΥΔΑΕΙ Ο CARLOS GARDEL


LARGUE A ESA MUJICA

Largue, Chiessa a esa Mujica
por Souza y por Roncoroni
y Pratto Coty Spiantoni
porque Passini calor.
Yo Onzari que Battilana
si ha Serrato la Manchini,
que si usted Reccanatini
tal vez Stabile mejor.

Marassi que yo Bidoglio
que anda con una Peniche
y aunque se Fleitas Soliche,
a quién se lo va a Gondar.
Qu' el es Nobile, che Negro,
nunca Settis Gainzerain
si deja esa Bidegain
pa' no volver a Beccar.

Tire, Cherro, esa Ferreyra,
que si corre Sanguinetti
lo van a dejar Coletti
en la Celta de un penal.
Es inútil que Lamarque
o a lo mejor la Martínez,
si no valdrá que Giménez
ni que se haga el Sandoval.

Guarda con la Canaveri,
Miranda que lo en Canaro,
si de usted bate un Purcaro
que es Cafferata de acción.
Olvide el Carricaberry,
tírese a la Bartolucci,
que mejor es hacer Bucci
que dárselas de Mathón.



Στίχοι και μουσική: Juan Sarcione.
Τάνγκο του 1929.
Guitarras de Aguilar y Barbieri.
Canta: Carlos Gardel.
08/08/1929 Buenos Aires
Odeon 18283 4454/1


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Tango del repertorio de Carlos Gardel recitado por Mario Trucco con piano de Lucy Fava.


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Juan Sarcione

Carlos Gardel


Υπέροχη ανάλυση του τραγουδιού εδώ

Τετάρτη 30 Μαΐου 2012

LA BOCA: NOSTALGIA DI GENOVA A BUENOS AIRES




LA BOCA: NOSTALGIA DI GENOVA A BUENOS AIRES

di Emanuella Guano

La Boca: nostalgia di Genova a Buenos Aires. Cosí scriveva, nel 1930, de Souza Reilly a proposito della Boca, il quartiere "genovese" di Buenos Aires: Non appena giungiate alla Boca del Riachuelo, i vostri cinque sensi vi grideranno all'orecchio come un capostazione: "Genova! [...] Le parole, gli odori, i sapori, insomma tutto vi produrrà l'impressione pittorica, panoramica, superficiale di trovarvi a Genova. Una manciata di casette variopinte, il porticciolo gremito di imbarcazioni, la parlata genovese che risuonava nelle strade --e ovunque il profumo inconfondibile della farinata e della focaccia calda... Tale doveva essere il vecchio quartiere della Boca: una Genova in miniatura, popolata da marinai e pittori, massaie e prostitute, poeti vernacolari e contrabbandieri, commercianti e compositori di tango. Un quartiere di angiporto: variopinto e inquietante, povero e fiorente al contempo, ove l'immigrazione prevalentemente ligure aveva imposto pacificamente l'uso del dialetto genovese.
Tutti, con poche eccezioni, vivevano nei "conventillos" della Boca, ove cinque, sei famiglie installate ciascuna in una stanzetta attorno al patio compartivano bagno e cucina. Sostengono, i bochensi odierni, che questi immigrati formassero comunità utopiche ove la povertà era dignitosa, e ove regnavano solidarietà, amicizia e ordine assoluto. Dipinte e ritoccate continuamente con le vernici delle imbarcazioni, le casette della Boca conferivano al quartiere l'aspetto pittoresco per cui esso resta iscritto nell'immaginario urbano di Buenos Aires come un luogo esotico, come la piccola Genova dove gli antichi immigrati avevano imposto il modus vivendi della loro patria.
Nella Boca un po' ingrigita di oggi, i discendenti degli immigrati italiani esercitano ancora il culto della memoria ligure del quartiere. Ai genovesi in visita, la gente della Boca racconta --con un po' di compiacimento-- aneddoti gustosi sullo spirito industrioso, sí, ma anche ribelle dei loro antenati. Anticlericali convinti di fede massone, socialista e anarchica, raccolti in quella che è l'oramai centenaria associazione mutuale "La Ligure", questi vecchi genovesi resero la vita difficile a più di un parroco della chiesa locale.
Nel 1882, a seguito di uno sciopero generale, pare che essi fossero giunti al punto di issare la bandiera genovese sull'edificio più alto del quartiere, proclamando la nascita della "Repubblica Genovese della Boca." Se tale repubblica ebbe vita breve, va anche detto che essa lasciò un segno profondo in una memoria collettiva improntata all'orgoglio delle proprie radici. Una memoria, quella della vecchia Boca genovese, che non si perde. Sono ancora tante le storie di famiglia che il visitatore odierno può raccogliere camminando per le stradine del quartiere. Punteggiate di parole italiane, e più spesso ancora di termini genovesi, queste storie cominciano immancabilmente con il "barco" da cui scesero i nonni (o i genitori), ciascuno determinato a passare dalla povertà a una discreta ascesa sociale attraverso la redenzione del lavoro.
Ma l'anima della Boca non è solo l'orgoglio di un'immigrazione industriosa: qui, infatti, la dimensione epica del riscatto sociale è ingentilita da altri due temi fondamentali della comunità immigrante creolizzata: la pittura e il tango. La Boca degli anni d'oro (ossia dalla seconda metà del secolo scorso fino alla fine degli anni '60) è il quartiere boemio in cui pittori come Alfredo Lazzari o Quinquela Martin --tutti di origine rigorosamente italiana-- installavano i loro cavalletti sulla ribera o direttamente nelle barche, contribuendo con le loro opere all'identità caratteristica del luogo.
Del tango, la Boca é uno dei luoghi mitici. Lo é perché il tango esprime la malinconia degli immigrati. E lo é anche perché l'angiporto forniva lo sfondo adeguato per un ballo di origine postribolare, e per canzoni i cui testi (letras) erano scritti in lunfardo, il gergo della malavita infarcito di espressioni dialettali italiane, spesso genovesi. Fino a non molti anni fa, il tango lo si ballava fino all'alba nelle pizzerie (cantinas) della Boca, tra una porzione di faina' e un bicchiere di vino. Il turista di oggi, invece, si deve accontentare di una passeggiata in Calle Caminito, dedicata al celeberrimo tanguero bochense Filiberto. Oggi museo all'aria aperta, Caminito é la meta prediletta degli artisti di strada bonaerensi, ove pittori, ballerini di tango e suonatori di bandoneon si contendono l'attenzione dei turisti.
Non si illuda, il viaggiatore odierno, che la Boca sia ancora pronta a gridargli in faccia la sua genovesita' come lo era negli anni '30. Da oltre due decenni il quartiere versa in uno stato di semi-abbandono. Mentre le inondazioni delle acque nere del fiume Riachuelo si succedevano inesorabilmente, le carcasse di vecchie barche si accumulavano nel porticciolo ormai inutilizzato. Molti bochensi abbandonarono i vecchi conventillos per trasferirsi nei quartieri alti di Buenos Aires. Certo --quasi in attesa di tempi migliori-- l'anima genovese della Boca permane. Sta peró al visitatore trovarla, avventurandosi con pazienza nella dimensione della memoria, dell'immaginario collettivo che trasfigura costantemente il presente nel passato, e il passato nel presente. La troverà, la "piccola patria" (patria chica), nei racconti dei discendenti dei tanti liguri che, venuti in Argentina per "fare l'America," inventarono un nuovo modo di pensare a Genova. Al di là della commercializzazione turistica, la Boca genovese si nutre con voracità della nostalgia della gente del luogo. Come un tango triste e bello, essa concede ancora ai bochensi il privilegio di un'identità poetica altrimenti negata a un paese in crisi.






Πηγή: El Barrio de la Boca, ovvero dove tutto è nato!
http://pbjitalia.altervista.org/forum/viewtopic.php?f=4&t=411#p10903

Τρίτη 29 Μαΐου 2012

ΓΙΑ ΤΗΝ ΜΠΑΝΦΗΛΝΤ, ΚΟΙΝΩΣ "ΤΟ ΤΡΥΠΑΝΙ"



ALFREDO DE ANGELIS: EL TALADRO

Μουσική: Alfredo de Angelis 
Παίζει η Orquesta Alfredo de Angelis


 

Video de los goles del campeón 2009 con música de Alfredo de Angelis. 


 
Ποίημα για τη Μπάνφηλντ 


Για τον Alfredo de Angelis εδώ.





F.C. BANFIELD

Δευτέρα 28 Μαΐου 2012

ΕΚΤΩΡ ΓΑΛΙΑΡΔΙ! ΜΠΑΛΛΑ ΤΟΥ ΤΡΙΑΝΤΑ


HÉCTOR GAGLIARDI


PELOTA DE TREINTA


Bajo el solazo de enero
elegimos "el picado".
Con los dos arcos cruzados
que revoleamos primero,
de "pique" quedó "el tachero"
por no jugar "el petizo"...
Es que la madre no quiso:
tenía botines nuevos...

La pelota era de treinta,
comprada en delegación...
Su bautizo fue "un tapón"
que casi mas la revienta.
«-Pierde, paga!», fue el alerta
que se le dio al afanado
que la pateó de "abocado"
teniendo la cloaca en puerta.

Empezamos a jugar
con un pique entreverado,
que, por mirar al costado,
nadie saltó a cabecear...
La tuvimos que parar
porque venía una vieja
que entre rezongos y quejas
no acababa de pasar...

Jugando con la pared,
-que es el wing que más la pasa-,
si es que un balcón no rechaza
de a traición en "reculié"-,
cantando se la dejé
al hijo del carbonero...
¡Se gambeteó hasta el arquero!
Cuando vino... ¡lo abracé!...

Retemblaba el empedrado
en esa tarde de enero...
¡Es de fierro el uno a cero
cuando es parejo "el picado"!
De "yapa" se había asomado
el padre de Genarito...
y el pibe sacó limpito
un "balazo" de "El pelado".

Por culpa de aquella chata
nos hicieron el empate.
Y le gritamos "¡cerrate!..."
Y va el "ruso", y se abatata.
¡Si al picar entre las patas
la patea al cadenero!...
Llegaron ellos primero...
y "nos metieron la tapa".

El guardapolvo anudado,
que cuando se embolsa el viento
hace "joroba de adentro",
ya lo tenía manchado...
Con el pecho había parado
un rebote de pared
que hizo volar el cartel
de: "¡Ojo! Recién pintado".

De apurado la fue a "pifiar"
por no pararla el "Gordito"...
y fue un tranvía maldito
que la vino a destrozar...
La tuvimos que mirar
serenita por la vía...
Fue un cachito de agonía...
y a quedarse sin jugar...

El más pibe del "picado"
la trajo partida en dos
y el "gordo" juró por Dios
que veinte tenía guardados
y que mañana o pasado
iba a tener otros diez...
ya lo había dicho otra vez
que la perdió de "afanado"...

A la orilla del cordón
nos sentamos aburridos
a mirar entristecidos
nuestra pasada ilusión
que mostraba el corazón
en dos mitades abierta...
¡pobre pelota de treinta
comprada en delegación!...



Πηγή:
Puñado de emociones,
Editorial Julio Korn, Buenos Aires 1970.




Héctor Gagliardi

Κυριακή 27 Μαΐου 2012

"ΜΠΟΚΑ ΤΖΟΥΝΙΟΡΣ": ΤΡΑΓΟΥΔΑΕΙ Ο ΡΟΒΕΡΤΟ ΤΣΑΝΕΛ



Παίζει η ORQUESTA FLORINDO SASSONE
Τραγουδάει ο ROBERTO CHANEL


BOCA JUNIORS

Entre humildes casitas de madera
Nació este club, nuestro gran club de la ribera,
Y se hizo fuerte, tan fuerte como roca
Y encadenó los corazones de la Boca.
Esa barriada que llora de emociones
Por Boca Juniors campeón de los campeones,
En las hazañas de su larga trayectoria
Cuántas estrellas conquistó para su gloria.

Entre humildes casitas de madera
Nació esta hinchada, que te quiere y te venera.

¡Boca, gol de Boca!
Es el grito ardiente de la gente.
¡Boca, Boca Juniors!
En todas partes estás presente.
¡Boca!, En tus gloriosas jornadas,
Entrega la muchachada
De verdad, su corazón.
¡Boca Juniors, Boca Juniors!
¡Merecés esta canción!

Entre humildes casitas de madera
Nació este club, nuestro gran club de la ribera,
Y se hizo fuerte, tan fuerte como roca
Y encadenó los corazones de la Boca.
En las hazañas de su larga trayectorias
Cuántas estrellas conquistó para su gloria.

Entre humildes casitas de madera
Nació esta hinchada, que te quiere y te venera.



Στίχοι & μουσική: Rodolfo Sciammarella.
Τάνγκο του 1950.
Boca Juniors Tango
Company: RCA-VictorDisc: P-1950


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Rodolfo Sciammarella


Roberto Chanel


Florindo Sassone


Orquesta Florindo Sassone


Παρτιτούρα

Έχει επίσης ηχογραφηθεί με την Orquesta de Miguel Caló και τον Roberto Arrieta.
Άκουσέ το εδώ!


BOCA JUNIORS

Σάββατο 26 Μαΐου 2012

CARBONILLA, ΔΗΛΑΔΗ "ΜΟΥΤΖΟΥΡΗΣ"




Τραγουδάει ο MIGUEL MONTERO 
Παίζει η ORQUESTA JOSÉ LIBERTELLA 

CARBONILLA 

El cuadro futbolero del "Once corazones",
no juega este domingo, pues solo quedan diez;
hoy falta Carbonilla, el wing izquierdo negro,
que gambetiando estrellas se fue pa' no volver.
Las últimas palabras, que pronunció su boca,
las dijo para el cuadro que siempre defendió,
pidió que le pusieran la camiseta roja,
por eso se la llevan.

Era un diablito negro, jugando la pelota;
con esa zurda loca mariaba al defensor;
en más de un entrevero bolaban sus moticas y así,
de palomita, marcaba simpre un gol.
Hoy vuela rumbo al cielo, el barrio lo recuerda,
y hay una madre negra que sola se quedó,
besando la medalla, que ayer los compañeros
le dieron al negrito por ser el goliador.

El cana de la esquina, que estaba de parada,
se cuadra con tristeza soltando un lagrimón,
y piensa acongojado, que al pobre Carbonilla,
por pícaro y travieso mil veces lo corrió.
El bocarocito que estaba biocoteado
se junta con la barra juntando su dolor
y añora aquellas tardes que junto a Carbonilla
patiando la de trapo, soñaba ser un crack.

Era un diablito negro, jugando la pelota;
con esa zurda loca mariaba al defensor;
en más de un entrevero bolaban sus moticas y así,
de palomita, marcaba simpre un gol.
Hoy vuela rumbo al cielo, el barrio lo recuerda,
y hay una madre negra que sola se quedó,
besando la medalla, que ayer los compañeros
le dieron al negrito por ser el goliador.



Στίχοι: Aldo Queirolo.
 Μουσική: Miguel Montero & José Libertella. 
Τάνγκο του 1946. 
04/06/1962 Buenos Aires 
Odeon 6575 

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MIGUEL MONTERO 
 
JOSÉ LIBERTELLA
 
ORQUESTA JOSÉ LIBERTELLA

Πέμπτη 24 Μαΐου 2012

ΕΝΑ ΠΟΙΗΜΑ ΓΙΑ ΤΗ ΜΠΟΚΑ ΤΖΟΥΝΙΟΡΣ



MARIO JORGE DE LELLIS (1922-1966)


BOCA JUNIORS


Uno sabe el color bandera sueca,
desarrancado gol grito del hincha,
vocación de este Boca boca llena,
tictac de historia de tablones
chuenga a chuenga.
Uno siente la sangre de azul-oro
metiéndose en las venas
por un punto de más, por una nada.
Y ocurre que ni almuerzo ni merienda
tienen algo que ver,
ocurre que la novia zaguanera
o el padre encabezando los domingos
miran pasar la tarde bizcochada
y esperan como espera,
pasivamente el lunes.
Uno se va volado, está de loco al paso,
refuerza el corazón, grita sin grieta,
aplaude el gol sellado en la gambeta,
siente su afán,
lo sigue hasta en la sexta.
Y siempre, cuando ese sol domingo color pájaro
le pega en la cabeza,
cuando tiene en capilla la memoria
o en blanco la leyenda,
suelta nombres con nombres a medida
que los nombres lo sueltan:
tesoriere capando los penales,
bidoglio con refrán en cada pierna,
lazzatti semafórico a las puntas,
cherro firmando la pelota para una ida y vuelta,
arico llevándola al desprecio,
varela en boina suelta,
sarlanga como dulce golosina,
angelillo maestro, filósofo poeta.
Así, de Boca en boca,
lo inconsolable tiene
consuelo de domingo por la siesta:
léxico libre, loco levantado, potrerío de fiesta.

Hacer la flor de bocajuniors,
hacerlo con belleza,
hablar del pueblo pobre
que sin pedir permiso
se vuelca hacia la izquierda
es una primavera de cosas hipotéticas:
¿qué pensarán los clásicos,
qué pensará la golondrina bécquer,
qué espronceda?

No sé.
Pero ese pueblo vivo que empuja y desempuja,
que parla y parlamenta
es el único eco de estas voces
y el único que cuenta.

Viéndolo andar de Boca al hombro,
de corazón con quince estrellas,
de pasión sin corbata,
le digo este poema.

Τετάρτη 23 Μαΐου 2012

ΠΟΔΟΣΦΑΙΡΟ ΚΑΙ ΤΑΝΓΚΟ ΣΤΗΝ ΑΡΓΕΝΤΙΝΗ



Eduardo P. Archetti, Masculinities: Football, Polo and the Tango in Argentina

The complex relationship between nationalism and masculinity has been explored both historically and sociologically with one consistent conclusion: male concepts of courage and virility are at the core of nationalism. In this ground-breaking book, the author questions this assumption and advances the debate through an empirical analysis of masculinity in the revealing contexts of same-sex (football and polo) and cross-sex (tango) relations. Because of its rich history, Argentina provides the ideal setting in which to study the intersection of masculine and national constructs: hybridization, creolization and a culture of performance have all informed both gender and national identities. Further, the author argues that, counter to claims made by globalization theorists, the importance of performance to Argentinian men and women has a long history and has powerfully shaped the national psyche.

But this book takes the analysis far beyond national boundaries to address general arguments in anthropology which are not culture-specific, and the discussion poses important comparative questions and addresses central theoretical issues, from the interplay of morality and ritual, to a comparison between the popular and the aristocratic, to the importance of 'othering' in national constructions - particularly those relating to sport.

This book represents a major contribution, not only to anthropology, but to the study of gender, nationalism and culture in its broadest sense.

ISBN-10: 1859732615
ISBN-13: 978-1859732618



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Société & Représentations n°7
Revue du CREDHESS
FOOTBALL ET SOCIÉTÉS / FOOTBALL AND SOCIETIES


Eduardo P. Archetti, Le football et le tango dans l'imaginaire argentin

Le sport et la danse, en tant que pratiques corporelles, sont des pratiques culturelles et relèvent donc d’un même univers. C’est dire qu’il existe des rapports d’affinité entre le sport, la danse et la musique en Amérique Latine, notamment entre le danzon et le baseball à Cuba, la samba et le football au Brésil, le tango et le football en Argentine. Depuis 1910-1930 l'exportation des pratiques culturelles et de ceux qui les incarnent (danseurs et joueurs) et des spectacles “sons et images” argentins a été associée au tango (une création locale) et au football (une invention anglaise). La communication analyse l'impact historique et sociologique de ces pratiques corporelles dans la construction d'un imaginaire argentin qui trouve une part de son fondement dans les pays d’importation.

Sport and dance, as corporal activities, are cultural practices and are therefore part of a same universe. It means that there are links of affinities between sport, dance and music in Latin America, noticeably between danzón and baseball in Cuba, samba and football in Brazil, and tango and football in Argentina. Since 1910-1930 the export of cultural practices and those who embody them (dancers and players) and of Argentinean " sound and images " shows, has been associated with tango (a local creation) as well as with soccer football (an English invention). The contribution analyses the historical and sociological impact of these corporal practices in the building of an Argentinean imaginary, which partly founds itself in countries of importation.



Τρίτη 22 Μαΐου 2012

PEÑAS DE TANGO EN BOCA JUNIORS



PEÑAS DE TANGO EN BOCA JUNIORS

NOCHES DE VERDADERO TANGO CON LOS GRANDES DE LA MUSICA POPULAR. Encuentro de familia boquence, con los mas importantes nùmeros artìsticos para la proyecciòn de su trabajo al mundo.
Esta oportunidad ha sido para el anuncio de una GRAN ESCALADA CULTURAL del pueblo del club BOCA JUNIORS.

Δευτέρα 21 Μαΐου 2012

Ο ΚΑΡΛΟΣ ΓΑΡΔΕΛ ΚΑΙ ΤΟ ΠΟΔΟΣΦΑΙΡΟ



GARDEL Y EL FÚTBOL


Pipo Rossi dirigía a Huracán y lo tenía loco a Emilio Melón : “¡ Corra, Negro! ¡Baje, Negro! ¡Suba, Negro! ¡Corra, Negro!
Cansado de los gritos se paró frente al banco y le dijo: “un momento. No me grite más que no soy negro. Soy morocho.”
A lo que el entrenador respondió: ¡Morocho era Gardel! ¡Corra, Negro!

Si bien Carlos Gardel no era un fanático del fútbol, en muchas oportunidades se acercó a él.
Su amistad con el Flaco Alippi, hincha de Racing, lo acercó a la Academia. Asi lo cuenta Nicolás Prezioza: “Alippi nos citaba en el café Ideal, de Corrientes y Paraná. Gardel solía llegar tarde porque antes pasaba por el hipódromo pero los tres como buenos hinchas, nos íbamos a ver a Racing. En uno de esos partidos, fue en un Racing-Newell’s, le presenté a Magaldi. Carlos no lo conocía. Agustín era’íntimo amigo de un pupilo mío, Sabino Alfredo Bilanzone, y esa tarde lo acompañó a la cancha. Los dos —Magaldi y Bilanzone— eran rosarinos y, por supuesto, tenían depositadas sus simpatías en Newell’s”.
Juan Scursoni recuerda las reuniones en la casa de Guillermo Barbieri, hincha de Huracán, quien presenciaba los entrenamientos y al  volver a su casa para ensayar regresaba en compania de varios de los jugadores: Scursoni, Stábile y Negro Prato eran los infaltables. Los días jueves se sumaba Gardel. Scursoni, en vísperas de un partido con Boca, sugirió a Barbieri la idea de invitarlo a Gardel al vestuario para darle ánimo a los jugadores. La invitación fue aceptada y en presencia del autor, José Rial, Gardel cantó el vals "Rosas de Otoño". Huracán ganó 1-0 con gol de Guillermo Stábile. Gardel se llevó un banderín del Globito y dejo en las manos del Negro Prato unos pesos "para que esta noche puedan festejar el triunfo". Esto sucedió el sucedió el  6 de junio de 1925: Huracán se afianzó en el primer puesto, hubo cien heridos en una tribuna por un  accidente en una tribuna a medio construir y Guillermo Barbieri adhirió al estuche de su guitarra el banderin de Huracán que lo acompañó por el resto de su vida.
Tuvo una admiración muy grande por Pedro Ochoa, recordado en el tango “Patadura” como "el crack de la afición". La letra tambien cita a tros jugadores: “corazón de Monti  (Luis)", “y hacer como Tarasca  (Tarasconi) de media cancha gol” o “querés jugar de forward y ser como Seoane (Manuel)”.
Fue anfitrión y compañero inseparable de los integrantes de la Selección que participó en Amsterdam ‘28. Los recibió en Barcelona, se fue con ellos a París donde interpretó por primera vez el tango “Dandy” en una habitación del hotel Moderne donde se alojaba la delegación argentina y no pudo seguirlos a Holanda por un imprevisto viaje a Italia. Los esperó de regreso en París y les hizo reunión junsto al plantel uruguayo en el cabaret "El Garrón" . Cuenta "Mumo" Orsi: "después de las dos finales, argentinos y uruguayos no nos hablábamos. Habíamos viajado, desde Amsterdam,en el mismotren pero en distintos vagones. En el cabaret, Gardel buscó la reconciliación preocupándose, personalmente, de sentarnos intercalados. Justo a mi lado sentó al negro Andrade, a quien yo le habla dado muy mal de atrás y ya en el suelo le pisé una mano. ‘Estoy rengo por culpa tuya’, me dijo y agregó: Algún día me voy a vengar’. Yo me hice el sordo. Al ratito Gardel anunció: Voy a cantarles a los campeones sudamericanos el tango “La Cieguita”. Dijo sudamericanos para involucrarnos a todos. Y en seguida, dirigiéndome la mirada, exclamó: ‘Mumo, ¿por qué no sube y me acompaña con el violín? Sabia que lo hacía bastante bien y que algunas noches llegué a tocar con Francisco Canaro. Bueno, arrancamos “La Cieguita”, después que un tipo del Olimpia que estaba allí me prestó su Stradivarius. Cuando terminamos, después de los aplausos, empezaron a cruzarse miguitas, después, panes, al rato volaban las botellas de vino. La confraternidad rioplatense se fue al diablo. En medio del desorden vi a un rengo que se me venia encima. No sé si era el negro Andrade pero, por las dudas, le rompí el Stradivarius en la cabeza.. ."
En España se hizo hincha del Barcelona; amigo del "Divino" Zamora y de Samitier. En 1928, el Barcelona hizo una gira por Argentina y Uruguay. Gardel inventó una actuación suya en el cine Paramount para acompañarlos. Vino y se fue con ellos. Fue la “mascota” del equipo. Angel Arocha comentó: Fuimos los campeones del ‘27 y ‘28, con su presencia permanente en casi todos los partidos". Francisco Platko lo recuerda así: “Estaba en esa oportunidad (1). Era hincha del Barcelona, fue a vernos en el hotel y me visitó en el hospital. Nos acompañol vairas veces. Era un valor humano excepcional, además de excelente cantor. Siempre recuerdo cómo le gustaba ir al puerto de Barcelona y mezclarse con los que allí trabajaban. Se pasaba horas cantándole sin cobrarles nada”.
Previo al inicio del Mundial ‘30, el 9 de julio ofreció un concierto en la concentración uruguaya y un día depués lo hizo en la argentina. El concierto del 10 de julio tuvo lugar en el salón comedor del Hotel de La Barra y se realizó junto los guitarristas José María Aguilar, Guillermo Barbieri y Ángel Riverol.  Al finalizar el recital declaró: “El fútbol es más difícil de acertar que las carreras, y ya sabemos que el hipódromo no acierta nadie, que no sea Leguisamo. Pero, en fin, yo sin aventurar nada, y descartando por no conocerlos en el deporte a los brasileños y a los yankees, diré solamente que creo que los rioplatenses serán los más difíciles de vencer, y que si llegan a una final, habrá que tirar la monedita para saber quien gana. Ambos son buenos y juegan un fútbol maravilloso y artístico, y ahora que veo a los nuestros tan alegres y dicididos, cabe esperar que ganando o perdiendo lo sabrán hacer como buenos criollos, es decir, con todos los honores”.
Las malas lenguas sostenian que la “mala suerte” que trajo para el Sel. Argentino el tango Dandy y su repetición en el recital de 1930 manifestarian la preferencia del Gardel por Uruguay.
Un año más tarde nuevo en Barcelona, se fue hasta Londres para ver cómo los ingleses le hacían siete goles a su amigo Zamora, arquero de España.


Notas: 1- En la final de la Copa del Rey de 1928: Quirriqui (Real Sociedad) cayó encima de Platko y le rompió la cabeza, debieron darle a Platko ocho puntadas luego de ello volvió a la cancha con la cabeza vendada para no dejar con 10 jugadores asu equipo. El hecho es recordado por Rafael Alberti en la “Oda a Platko” y en “Contraoda del poeta de la realidad” de Gabriel Celaya.
http://meme.yahoo.com/toritocasale/p/VAOFHlA/

Fuentes: El Gráfico n. 3244, 3429, 3791.

Historias insólitas de los Mundailes de Fútbol (Luciano Wernicke).
http://www.todotango.com/Spanish/las_obras/Tema.aspx?id=V+dFB5wBIug=


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Το άρθρο το πήραμε από την εξής διεύθυνση:
http://toritocasale.blog.terra.com.ar/2012/03/11/gardel-y-el-futbol/

Κυριακή 20 Μαΐου 2012

ΤΑΝΓΚΟ ΓΙΑ ΤΗ ΜΠΟΚΑ ΤΖΟΥΝΙΟΡΣ










TANGOS EN AZUL Y ORO

Por Rubén Fiorentino

Las pasiones populares suelen ir estrechamente ligadas. Es un mito que el tango y el turf edificaron a través del tiempo una relación sólida y auténtica que no merece siquiera atreverse a discutir. No obstante somos muchos los futboleros acérrimos que reivindicamos para el balompié un sitial importante dentro de la liturgia ciudadana. Alguna vez los hermanos Hugo y Gerardo Sofovich pusieron en boca del actor Juan Carlos Altavista mimetizado en su personaje emblemático, Minguito Tinguitella una canción que integraba a la “vieja”, Boca, Gardel y Perón. El tema no tenía otra pretensión que provocar un momento risueño, por supuesto que los autores no perdían de vista el ansiado rédito económico y algunos extremadamente críticos les endilgaban cierta obsecuencia con el poder, debido a que por esos años se producía la añorada vuelta del general.

No obstante, ese hombre que está solo y espera que pintaba Raúl Scalabrini Ortiz suele ser permeable a estos íconos que conforman nuestra idiosincrasia.

En consecuencia, como no podía ser de otra manera, el tango y el fútbol tejieron un vínculo que merece ser destacado.

Fueron muchos los tangos, algunos particularmente bellos, como los temas dedicados a los albicelestes de Avellaneda, Racing Club de Vicente Greco y De Academia de Osvaldo Fresedo, aquel Independiente Club, de Agustín Bardi, alusivo a sus rojos vecinos, o siguiendo en el sur del conurbano, El taladro que Alfredo de Ángelis ofrendó a su querido Banfield. Pero “los de la ribera”, no en vano calificados como “la mitad más uno” arrasaron en títulos alegóricos a esa divisa inspirada en la bandera de aquel barco sueco. Boca Juniors y sus futbolistas más representativos merecieron la atención de los creativos del género porteño que intentaron perpetuarlos en decenas de melodías. Incluso alguno de ellos, intentó suerte con la música.

Fue realmente breve el paso de Raimundo "Mumo" Orsi por Boca, solo un año (en 1936), pero no por ello podemos soslayar que aquel puntero izquierdo que se destacara en Independiente y fuera campeón mundial con Italia 1934 fue un eximio violinista. Su calidad y dedicación lo llevó a integrar la orquesta de Francisco Canaro y cuenta la leyenda que mientras emprendía la vuelta de los Juegos Olímpicos de Ámsterdam 1928, con la medalla plateada colgada del cuello (Argentina perdió la final contra Uruguay por 2 a 1, luego de empatar en uno el primer cotejo), se dio el lujo de acompañar al “Zorzal Criollo”, Carlos Gardel, en un cabaret de París. Luis Estrada, tercer bandoneonista de la formación de Eduardo del Piano, fue suplente obligado del legendario Ludovico Bidoglio quien brillara en la década del ´20 y principios de la del ´30. Mientras que el gran José “Pepe” Basso también habría jugado en la primera del club nacido en la plaza Solís, de acuerdo a la biografía que de él realiza Ricardo Espinosa Belén.

De vuelta con los temas que inmortalizaron al club de la ribera, uno de los más antiguos que se recuerda es Boca Juniors Club de José Quevedo que fue concebido hacia el año 1916 cuando los xeneixes comenzaban a transitar su segunda década de vida. Por 1919 se conoce Canaveri, obra de Alfonso Gagliano, dedicada al temible artillero boquense Zoilo Canaveri que acusa en el historial de la institución 12 goles en 32 partidos disputados. A la luz del tiempo transcurrido es difícil establecer una cronología rigurosa pero la conformación de los distintos planteles puede ayudar a lograrlo.
Entonces podríamos suponer que los próximos tangos alusivos serían La Jira de Manuel Pizarro, obviamente dedicado a la exitosa excursión europea producida en 1925 y Por tierra lejana de Alberto Gandolfo. Curiosamente aparece en la partitura el sustantivo del título de Pizarro escrito con una letra j en lógico desmedro del idioma de Cervantes. En 1928 José De Grandis y Bernardo Germino dan a conocer Tarasca solo, dedicado a Domingo Tarascone (goleador de Ámsterdam 1928, con 11 conquistas) que con 193 tantos convertidos se ubica cuarto en el lote de los goleadores del club. “Hacer como Tarasca, de media cancha un gol”…cantaba Gardel en Patadura de José López Ares y Enrique Carrera Sotelo. En 1931 se conocen los tangos Boca Juniors de Adolfo Dispagna, Campeón de Alfredo Bigeschi y en 1933, Cabecita de oro, en alusión a Roberto Cherro que se anota en la carrera goleadora en segundo término con 221 goles convertidos. La obra es de Miguel Padula y J. de Prisco. Más tarde, alrededor del año 1934, Machetero, de Juan Canavello, el título corresponde al apodo que recibía el delantero paraguayo Delfín Benítez Cáceres, séptimo en el historial goleador con 115 conquistas.

Podemos suponer luego la aparición de Boca Juniors y sus tres cracks de César Rizzo que data de 1934 y de Moisés y Bibi, correspondiente a los apellidos de dos zagueros centrales foráneos que brillaron con la casaca azul franja oro en los albores del profesionalismo. Los autores fueron los mismos autores de la marcha oficial, Ítalo Goyeche y Jesús Fernández Blanco. También para esos tiempos podemos ubicar a sendos tangos dedicados al recientemente desaparecido, y ya centenario, artillero platense “Pancho” Varallo. Son ellos El cañoncito de La Boca, también de Ítalo Goyeche, Varallo,…Varallo de J. F. Grosso y M. Ostinelli y Varallo de José María Bagnati. Me atrevo a afirmar que de este tiempo es también Boquense de Ricardo Brignolo y Vicente Puccinno. Otros títulos que merecen citarse en la pretendida cronología son A Boca Juiniors de Isabelino Espinoza y L. Miranda y el vals Boca campeón de Alberto Pellegrini y Pedro Ciarallo. En 1943 Aguirre da a luz Azul y oro del que se conserva un magnífico registro de la orquesta de Juan D ´Arienzo. En 1944 aparece Boina blanca, típico resguardo que lucía sobre su cabeza el oriental Severino Varela que figura con una trayectoria de 46 goles en la red enemiga. La página es de Alfredo Pisciotti y Miguel Padula. El uruguayo contaría un año después, en 1945, con otro tango en su honor, Varelita de Ricardo Jardón y Benito Suárez. En 1947 aparece Gran pibe de oro de Pedro Balzano y Domingo Larrosa, obra dedicada al mítico “centrojás”, Ernesto Lazzatti y en 1948, El atómico de Américo Pluchino que fuera dedicada al puntero derecho auriazul Mario Boyé, autor de 124 conquistas recuerdan aquel canto tribunero “ te daré niña hermosa…”. En 1953 se conoce A Natalio Pescia, obra de Moreyra, Roberto Caló y Enrique Campos de la que el cantor oriental dejara un estupendo registro. Este calvo gladiador xeneixe quedó inmortalizado en la vida del club puesto que la tribuna popular de la legendaria Bombonera lleva su nombre.

Con un nuevo campeonato, en 1954 aparecen otros títulos como La azul y oro de Eduardo Del Piano y Dale Boca de Jorge Comitine, Monardi y Osvaldo Bruno y Boca Juniors de Rodolfo Sciammarella grabado por Miguel Caló y su cantor Roberto Arrieta en el sello Odeón el 23 de Junio de ese glorioso año. Época que el guardavallas Julio Elías Musimessi popularizara aquel chamamé Viva Boca de Eduardo Pauloni y Américo Cipriano. José “Pepe” Basso es autor del tango Once y uno, referido al equipo y su hinchada del que también deja un importante registro fonográfico. Luego sucederían una década exitosa como la del 60 que traería otros tantos títulos, algunos de ellos inéditos como BJ de Rodolfo Montillo y Ulises Ángel Sita, Hincha de Boca y basta de Héctor Stamponi y Un tango para Rattín. Roberto Lambertucci y Roberto Pansera son autores del candombe La Bombonera y los tangos La mitad más uno y La azul y oro. Todos ellos datan de 1969.

Antes, en 1965, Edmundo Rivero y Alberto Marcó daban vida a Pelota de cuero, título de un film nacional protagonizado por Armando Bó que incluía en el elenco a su hijo Víctor y al propio ex vocalista de Horacio Salgán y Aníbal Troilo. Por estos tiempos Reinaldo Yiso y José Berra integraban al cancionero Muchachos yo soy de Boca del que me parecen aún resonar los versos ilustrados por el inolvidable Floreal Ruiz.

Más recientemente en el tiempo Pablo Banchero y Pablo Malizzia se anotan con el tango Boca Juniors del que el primero de ellos deja testimonio en la placa sonora, Daniel Melingo junto a Javier Casalla nos legan CABJ y Joaquín Sabina le profesa su amor en ese híbrido de tango y conga, "Dieguitos y Mafaldas", mientras que proliferan los títulos dedicados a uno de sus máximos ídolos, Diego Armando Maradona. Vaya entonces con las disculpas por las omisiones que pueda haber en esta crónica, desde esta columna tanguera el homenaje al “gran campeón del balompié” en este, su centésimo sexto aniversario.


Fuentes

Batlle, Pablo; “Música Azul y Oro – Partituras”, 12-03-2009, en http://www.coleccionistadebocajuniors.blogspot.com/

Duer, Walter y Ulloa, Alejandro; El Libro del Xentenario

Espinosa Belén, Ricardo; “Homenaje: José Hipólito “Pepe” Basso” en http://www.elportaldeltango.com/

Pinsón, Néstor; “Eduardo del Piano” (Biografía), en http://www.todotango.com/

Sitio http://www.bocajuniors.com.ar/

Sitio http://www.historiadeboca.com.ar/


Πήρα το κείμενο από την εξής πηγή: 
http://nortangoxxi.blogspot.com/2011/04/tangos-en-azul-y-oro.html

Σάββατο 19 Μαΐου 2012

ΤΑΝΓΚΟ ΚΑΙ ΠΟΔΟΣΦΑΙΡΟ: ΠΟΙΗΜΑ ΚΑΙ ΤΡΑΓΟΥΔΙ





ΑΠΑΓΓΕΛΛΕΙ Ο HÉCTOR GAGLIARDI: EL FANÁTICO


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ΤΡΑΓΟΥΔΑΕΙ Ο EDMUNDO RIVERO


GOL ARGENTINO

(recitado)
Por mi casaca blanca y celeste, Copa del Mundo.
Por la legión de todos esos que alzan su gloria,
en la gramilla o en el tablón.
Por ese hincha que los domingos
deja en el fútbol su pecho a tajos,
cuando la loca de doce gajos
busca los puntos de la ilusión.
Por el canilla, por el purrete
que atrás del arco grita su verbo
dejo este tango para el recuerdo,
como un golazo del corazón.

Los once leones del cuadro argentino
ya están en la cancha midiendo al rival.
Ya suena el silbato, ya el arco enemigo
de miedo en sus redes parece temblar.
La esférica danza su loca pirueta,
la hinchada delira caldeándose al sol.
Y a músculo y nervio sedientos de meta
van cinco saetas en busca del gol.

De pronto un pase del eje medio,
un wing se corta centrando al field.
La toma un ágil, driblea un hombre,
ya las tribunas están de pie.
Empieza el vino, gran remolino,
pase y gambeta, suena un tapón
¡Goool!
Gol en el aire, gol argentino,
y a la criolla nace un campeón.

La estrella del fútbol rutila en el Plata,
nació en un potrero de un pie sin botín.
De un pie de lauchita, de un barrio de lata,
por eso es suburbio shoteando en un team.
El mundo te aclama, campeón de campeones,
mi blanca y celeste casaca inmortal.
Un hurra a esos cracks que te dieron honores. ¡Hurra!
Silencio muchachos por los que no están.

De pronto un pase del eje medio,
un wing se corta buscando el gol.
Gol en el aire, gol argentino
y a la criolla nace un campeón.



Στίχοι και μουσική: Héctor Marcó.
Κιθάρα: Roberto Grela.
Buenos Aires 1978
Cabal LPL 9017

Héctor Marcó
Roberto Grela 

Παρασκευή 18 Μαΐου 2012

WILMAR EVERTON CARDAÑA



WILMAR EVERTON CARDAÑA, NÚMERO 5 DE PEÑAROL

por Roberto Fontanarrosa

Porque yo lo conoci a Cardaña. Y porque lo conoci a Cardaña puedo afirmar que mucho se equivocan aquellos que juzgaron o juzgan al aspero centrehalf peñarolense a traves de la imagen recogida en los campos de juego.
    Yo se que es dificil imaginar, suponer, adivinar, una personalidad tierna y sensible escondida tras la carnadura hosca y prepotente del capitan de los aurinegros. Yo entiendo que no es sencillo intuir el gesto amable o la frase cordial en un hombre que hizo del encontronazo cruel, la pierna arriba o el gesto acerbo, una marca personal e indeleble a lo largo de su prolongada campaña. A lo sumo, admito, era factible entrever en el la grandeza, el coraje y una hombria de bien reconocida incluso por aquellos que fueron sus victimas, encarnizados rivales o detractores.
    Pero yo lo conoci a Cardaña y creo que fui uno de los pocos privilegiados que pudo compartir su circulo aulico, cimentado en el respeto mutuo y los afectos sobreentendidos. Y fue ese respeto, ese sobreentendido. el que me permitio ser testigo de un hecho, de una anecdota, que echa por tierra el equivocado concepto de considerar a Wilmar Everton Cardaña como un mero cacique huraño, un rispido patron de la media cancha, temido y evitado por los rivales. Cuantas veces el insulto hiriente, el epiteto injusto, el cantico soez, cayo desde la graderia rival sobre la humanidad generosa de mi amigo! Sin duda alguna, muchos de aquellos que ayer desgranaron los mas pesados e injuriosos improperios contra Wilmar Everton Cardaña se sentiran incomodos o arrepentidos al finalizar de leer esta nota que revela la otra cara del idolo deportivo. Cuanta nobleza habitaba el pecho inconmensurable de Wilmar! Cuanto valor civico podia esconderse bajo el glorioso numero cinco prendido a la mirasol peñarolense, ya fuera sobre el cesped del Estadio Centenario, en cualquier campo de la vecina Buenos Aires, o en la grama misma de tantos y tantos estadios brasileños donde los fragiles y siempre pusilanimes morenos le temian como a una figura mitologica !
    No por nada, mi amigo y colega Pablo Aladino Puseya, inolvidable periodista, desaparecido ya, que supo firmar sus columnas en "El Tero Alerta" de Rocha con el ingenioso pseudonimo de "Banderin de Corner", bautizo a Cardaña como "El Hombre". Asi, a secas, con mayusculas, porque supo advertir en Cardaña al luchador indoblegable, al deportista cabal de verguenza invicta, mas alla de la circunstancial controversia sobre un puntapie a destiempo o una fractura expuesta. Tiempo despues, algun picaro modifico el apelativo para extenderlo a "El Hombre de Roble", lo que, en si, parecia configurar un elogio a la increible solidez de sus piernas ligeramente chuecas, pero que en verdad escamoteaba la verdadera intencion del apodo, que aproximaba a Cardan~a a la infame condicion de "tronco". Lo avieso de la maniobra lo certifica el hecho de que esta deformacion de su apodo fue adaptada velozmente por los seguidores de Nacional. Y no quedo alli la cosa, porque despues de aquel desgraciado incidente con Fanego (el veloz punterito de Huracan Buceo que se destrozara una clavicula contra el alambrado olimpico en un cruce fortuito con Cardaña) parte de un periodismo no propiamente imparcial, paso a llamarlo "El Hombre de Neanderthal". Quisiera que esta anecdota, que puedo contar dado el particular contacto que tuve con el caudillo indiscutible de Peñarol, eche algo de luz sobre la "leyenda negra" que sobre el se derramara desaprensivamente. A mucho tiempo de los hechos, pienso que el mismo Cardaña, refugiado hoy en la paz y el reposo de su hogar en Treinta y Tres, me perdonara que refiera lo ocurrido en circunstancias de aquella historica final del 54, tema que el, por pudor y humildad, jamas quiso develar. Puede que el relato aporte tambien nuevas referencias a los amigos tangueros, ya que lo sucedido en torno a esa final inolvidable fue inmortalizado en un tango que, precisamente, lleva por nombre "La numero cinco". La anecdota revelara que el titulo de la pieza se refiere a la casquivana pelota de futbol, y no al numero que lucia la camiseta de Wilmar Everton Cardaña sobre sus dorsales, ni al que identificaba (este fue un rumor poco serio y malintencionado) a una damisela aspirante al trono de "Miss Paysandu" y por quien, dicen, suspiraba el inspirado compositor de tangos.
    Aquella mañana del 3 de noviembre de 1954 llegue al hotel Olinto Gallo, donde se alojaba habitualmente el plantel de Peñarol, palpitando encontrarme con un clima de nervios y tension, acorde con la magnitud del gran encontronazo final con el clasico enemigo de todos los tiempos: Nacional. Habia una efervescencia formidable en Montevideo y los tamborines de la murga "Los que pelan la chaucha" no habian dejado de atronar el barrio de La Tumba en toda la noche. Sin embargo, me halle con un grupo de muchachos --jugadores, tecnicos y dirigentes-- departiendo mansamente luego del desayuno, al parecer olvidados de la proximidad de la justa. Pero esa primera impresion fue efimera. Algun gesto falso, ciertas torpezas en los movimientos, un par de respuestas destempladas o el rechinar penetrante de algunas dentaduras, denotaban el crispamiento interior, el desgarro insoportable de la espera.
    Pregunte por Cardaña y me contestaron que el recio capitan se habia retirado a su habitacion luego de merendar. Subi a su pieza, con la familiariedad que me conferia su actitud amistosa hacia mi, y me invito a pasar con un gruñido. Wilmar Everton Cardaña era hombre de pocas palabras, muy pocas, como todo hombre criado en el campo, entre vacas y animales poco propensos al dialogo. Creo que hasta ese dia --y ya llevabamos mas de dos años de amistad--, solo le habia contabilizado nueve palabras, monosilabicas en su mayoria. Y vale la pena consignar que mas de la mitad de ellas las habia gastado en una sola frase, previa a otro partido importante, cuando levantandose imprevistamente de una tertulia, anuncio: "Permiso, voy a ir al baño". Era asi, directo, franco, hombre de llamar al pan, pan, y al vino, vino, y no podian esperarse de el frases grandilocuentes o inflamados discursos. De mas esta decir que era la tortura de los periodistas radiales quienes, mas de una vez, debieron quitarle los auriculares sin haber obtenido de el ni un dato, ni un nombre, ni una fecha. Encontre a un Cardaña taciturno y cariacontecido, cosa que atribui a la resposabilidad del partido de la tarde. En aquella epoca no habian proliferado las lineas de ropa deportivas; por lo tanto, en las concentraciones, los players usaban sus propios atuendos a veces de gustos caprichosos o discutibles. Cardaña llevaba puesto un saco marron, colocado al reves, o sea, con la pechera sobre la espalda, lo que lo hacia parecer sujeto por un chaleco de fuerza.
    --Es por el pecho-- me dijo, señalandose el cuello. Yo sabia que sufria de severas anginas de pecho. El cigarrillo --aquellos cigarritos negros "Barbudas", de la epoca, que solia lucir detras de la oreja durante los partidos-- le habia instalado una tos seca en el pulmon derecho y una tos convulsa en el izquierdo. Parecia mentira que un hombre que fumaba como el, casi siete etiquetas por dia, pudiese tener ese despliegue incesante y depredador en el campo de juego. Cuantos jugadores de hoy en dia, con los tan mentados y publicitados sistemas de entrenamiento, dietas especiales y cuidados dignos de una odalisca quisieran poseer aquella inagotable capacidad fisica que acreditaba Cardaña, aun considerando sus excesos y descuidos! Cuantos de los señoritos de hoy en dia, atentos siempre a sus peinados y manicuras, se hubieran atrevido a mostrarse a la prensa en saco de calle vuelto del reves, camiseta musculosa debajo y pantalon pijama, sin temor a ser el hazmerreir o al escarnio!
    En la misma habitacion de Cardaña estaba Nelson Amadeus Farragudo, aquel implacable marcador de punta, el del gol agonico al Wanderers en el 49, de sombrero de fieltro sobre los ojos, tomando mate. Le decian "El Buitre" Farragudo, no solo por la nauseabunda peladura de su cuello, sino porque, cual la conocida ave carroñera, era quien caia sobre los restos de las victimas de Cardaña, cuando este recibia a los delanteros rivales por el medio de la cancha. Por la mustia actitud de Farragudo --mitigaba el sonido del mate cubriendose la cabeza con una toalla-- comprendi que algo no andaba bien en mi amigo, su compañero de pieza, el legendario centrehalf peñarolense.
    Por si no lo he dicho, Wilson Everton Cardaña tenia una cara de rasgos grandes, muy marcados. Las cejas, negras y pobladas, se juntaban sobre el puente de la nariz. Los ojos, sin ser bellos, eran saltones y parecian querer fugarse por debajo de unos parpados gruesos, de piel porosa como la de los citrus. La nariz era prominente, larga, carnosa, de aletas amplias. La boca se abultaba bajo el bigote generoso y se alargaba hacia los costados, pareciendo que las comisuras profundas podian alcanzar los peludos lobulos de las orejas, tambien enormes. Entre estos lobulos y la boca, sin embargo, se interponian dos ondonadas como tajos, arrancando desde los pomulos protuberantes para bajar y delimitar con claridad el menton avanzado y desfiante. Daba la impresion de que uno podia tomar esa porcion inferior de la cara, por aquellos surcos que partian de las mejillas, y quitarla de alli, como si fuese un aditamento plastico removible. Habia en ese rostro algo perturbador y obsceno pero, al mismo tiempo, sobrecogedor. Era como contemplar un fiordo inmemorial, un precipicio de roca desnuda, el magma primigenio. Era asomarse al inicio de la naturaleza. Y ese rostro, aquel dia, estaba transfigurado.
    Consciente Cardaña de que yo habia percibido ese clima extraño y dislocado, fue hasta una comoda y saco algo de uno de los cajones. Pronto se me acerco con la facilidad que le daba nuestra confianza mutua, y me extendio una hoja de papel azul.
    --Es una carta-- me aclaro.
    Lei la carta y, en ella, con una letra despareja, salpicada de errores ortograficos, decia: "Soy casi un niño y, desde hace mucho tiempo, me hallo encerrado en una oscura sala del Hospital Muñoz. Padezco de un mal reversible y, por eso mismo, no estare el domingo en el estadio para alentar al glorioso Peñarol. Si no es mucho pedir, me haria muy feliz tener en mis manos la pelota con que se juege el encuentro, firmada por todo el plantel mirasol. Si es necesario pagar, adjunteme la factura, que oblare gustoso con dinero que he ahorrado privandome de la medicacion. Suyo, Jose Petunio Invenianto, cama 747."
    Confieso que termine de leer aquella carta con los ojos nublados por el llanto. Cuantos purretes de hoy en dia, deslumbrados por el artificio de la tecnologia y la banalidad de la computacion, serian capaces de solicitar a su idolo deportivo el humilde y significativo obsequio de una pelota? Cuantos niños de la actualidad, engañados por la urgencia de una sociedad que no sabe de la pausa para la charla amable o la reflexion, tendrian la delicada paciencia de solicitar la pelota para "despues" del partido y no para "antes" del mismo, con todos los inconvenientes que esa voracidad podria provocar en la popular justa? Pero mi sorpresa fue inmensa y total cuando alce los ojos. Alli, delante mio, Wilson Everton Cardaña, "El Hombre", "El Capitan Invicto", "El Hacha" Cardaña estaba llorando. Aquel que hiciera callar de un solo chistido a 150.000 brasileños aterrados en el estadio Pacaembu, cuando la final de la Copa Roca! Aquel que se bajo los pantaloncitos y el canzoncillo punzo para mostrar sus testiculos velludos, uruguayos y celestes a la Reina Isabel en el mismisimo estadio de Wembley! Aquel que ya a los ocho años quebrara en tres partes el tabique nasal a su porfesora de musica en la escuelita sanducense... estaba llorando! Esta cartita escrita sobre el burdo papel azul por aquel botija preso en la fria sala del Hospital Muñoz habia hecho el milagro de ablandar el corazon, en apariencia fiero, del granitico centrehalf de Peñarol y la seleccion uruguaya.
    No abundare en detalles ni cedere a la tentacion periodistica de recordar los avatares de aquel partido memorable que termino con el resultado por todos conocido. Calle la historia por mi presenciada en la habitacion de Cardaña, por pudor y por prudencia, consciente de que no saldria de mis labios ese relato, como asi tampoco de los del "Buitre" Farragudo, austero en su vocabulario como en su manejo del balon.
    El lunes, al dia siguiente del encuentro, acudi al Hospital Marcelo Muñoz, a ser testigo del final de la historia. Esperaba hallar alli tan solo a Cardaña pero cuan grande seria mi sorpresa al ver a las puertas de nosocomio el plantel integro de Peñarol, algunos aun con la camiseta puesta bajo el saco, deseosos de cumplir con el pedido postal! Y lo increible, lo conmovedor, es que no se habian reunido alli por un acuerdo previo o concertado. Uno a uno, por su propia cuenta, con la misma coordinacion que ponian en el campo de juego para implementar la ley del off-side o presionar a un juez de linea, habian llegado hasta el Muñoz para acompañar al capitan en la entrega del preciado regalo! Cuanto planteles de la actualidad, ahitos de dinero y fama facil, serian capaces de repetir aquella escena, aquella convocatoria, llevada a cabo por hombres simples y cabales, deportista que no conocian los devaneos en torno a contratos fabulosos ni los desplantes exigentes por unas cuantas monedas de oro, antes de comenzar algun encuentro?
    Y entonces fue el sinceramiento. Ante esa presencia masiva y espontanea, frente a tanta humanidad enternecida, Wilson Everton Cardaña no aguanto mas y lloro como una criatura. Lo segui yo y luego el plantel. LLoramos abrazados sin avergonzarnos de los facultativos que nos miraban con cierta curiosidad o de los transeuntes que acertaban a pasar por el lugar. Algun periodista, mal periodista, arriesgo luego la mezquina version que el plantel de Peñarol lloraba aun el lunes la ignominia de la abultada derrota, soslayando el hecho irrefutable de que se trataba tan solo de un acto de amor y desprendimiento. Cuantos periodistas de hoy en dia, mercenarios que ponen su pluma al servicio de quien mas paga, habrian hecho exactamente lo mismo que aquel sicario de la prensa amarilla!
    Desahogados en parte, pero aun tremulos por lo tocante de la escena, pudimos seguir rumbo a la sala 2, media hora mas tarde. Adelante, Cardaña, con la numero cinco entre sus manos enormes. Atras, yo y el plantel, encolumnados en un remedo de la tantas veces repetida entrada a la cancha.
    Y quiero ser cauteloso al narrar lo que sucedio despues, ya que tuvo ciertos rasgos sorpresivos e inesperados. Como asi tambien advertir al lector que mi fidelidad al relato me obliga al uso de palabras que no son de mi predileccion, a pesar de ser moneda corriente en la via publica.
    Fue casi simultaneo entrar en la sala 2 e individualizar al pequeño que habia solicitado el obsequio. Tendria doce, trece años y, cubierto por un camison blanco de tela basta, se hallaba de pie sobre su cama, expectante, mirando hacia la puerta como si nos hubiese adivinado. Tal vez el revuelo de enfermeras y doctores lo alerto, quizas la intuicion infantil, o tal vez el hecho de que, nosotros, nos acercabamos cruzando los largos y umbrosos pasillos cantando la Marcha del Deporte. Parecio no dar credito a lo que veian sus ojos, las pupilas se le empañaron y comenzo a temblar como atacado por la fiebre. Impresionado, Cardaña se acerco a el y le entrego la pelota firmada por todos. El pibe la miro, nos miro a nosotros, volvio a mirar la pelota, nos volvio a mirar a nosotros y finalmente grito:
    --Hijos de puta! Como pueden perder con eso chotos de Nacional?
    Confieso que nos quedamos estupefactos, helados por lo sorpresivo de la agresion.
    --Como carajo puede ser que esos putos nos hagan cuatro goles?-- siguio gritando el imberbe, ya absolutamente desaforado, roja la cara, las venas del cuello tensas, como a punto de estallar--. Hijos de mil putas! Troncos de mierda! Metanse la pelota en el culo!
    Y, acto seguido, arrojo el balon al rostro de Cardaña, estrellandolo contra su nariz. Vi palidecer al capitan y temi lo peor.
    --Vendidos!-- seguia, para colmo, el botija-- Se vendieron como unos miserables! Cuanta guita les pusieron para ir para atras, guachos de mierda?
    Vi a Cardaña dar un paso hacia el muchacho y supe que no podria contenerlo.
    --Cagones!--vocifero el chico, empinandose hasta caer, casi, de la cama--. Maricones! Vayan a trabajar, ladrones!
    Adverti, en el ultimo instante, el brillo asesino de tigre en los ojos de Cardaña, el mismo que habia apreciado tantas veces en las inmediaciones del area, y supe que atacaba. Se lanzo con los dos pies hacia adelante en la temida "patada voladora" y alcanzo al muchacho en pleno torax, de la misma forma que puso fin a la carrera de Alberto Ignacio Murinigo, el prometedor numero nueve del River Plate. Cayeron los dos del otro lado de la cama y, sobre ellos, se abalanzo una docena de enfermeros que se habian acercado atraidos por los gritos del botija.
    Salimos destrozados del Muñoz. Los muchachos de Peñarol, heridos hasta lo mas recondito por la injusticia de los agravios recibidos. Yo, por lo estremecedor de la escena presenciada.
    Al dia siguiente, un medico de guardia me informo que el chico tenia cuatro costillas fisuradas, lo que obligaria a prolongar su internacion seis meses mas. Tambien me dijo que el botija padecia de una calvicie irreversible, y que habia solicitado permanecer internado a los efectos de no concurrir a una escuela tecnica que detestaba. Que era un buen chico, en verdad muy hincha de Peñarol y que, meses atras, se habia hecho regalar un planeador firmado por un diestro del volovelismo que habia batido un record sudamericano.
    Muy pocos conocen esta anecdota, ya que una conjura de silencio se cernio en torno a ella. Yo me abrigue en el secreto profesional para no revelarla. El plantel de Peñarol callo el suceso por un natural prurito del deportista derrotado y en cuanto al agresivo muchacho, tengo informacion de que aun sigue en el mismo hospital, aunque ahora con el cargo de "jefe de enfermeras". Wilmar Everton Cardaña siguio jugando, desparramando coraje y sangre charrua en cuanto campo de juego le toco en suerte asolar. Siguio acrecentando su fama de guapeza y virilidad sin limites. Siguio mostrando, en suma, una sola de sus dos caras o facetas: la del energico, petreo y filoso centrehalf de los de aquellos tiempos.
    Apenas un puñado de sus mas intimos guarda, como un tesoro, el secreto de aquellas lagrimas que supo derramar ante el conmovedor y sencillo pedido de un niño.



 
Este relato pertenece al libro "Puro fútbol", ediciones De la Flor, abril de 2004
Πηγή: http://www.literatura.org/Fontanarrosa/cinco_penarol.html